I temi ispiratori della resistenza al nazifascismo, quali il desiderio di libertà e di autodeterminazione, l’aspirazione al pluralismo e alla convivenza pacifica, la salvaguardia del rispetto della persona umana al di là delle petizioni di principio dettate dalla propaganda, possono essere visti come i prodromi di un sano cosmopolitismo culturale che però a tutt’oggi sembra lungi dall’essere realizzato in quella che comunemente viene detta globalizzazione. L’ attuale situazione di crisi del vecchio mondo europeo, d’altro canto, porta alla ribalta il tema delle identità, mentre sulla spinta di fenomeni epocali come quello delle migrazioni, per citare il più discusso, vanno generandosi derive ideologiche che potrebbero rivelarsi antitetiche all’insieme dei valori animatori della resistenza. Sino ad ora nell’immaginario di chi è nato dopo la seconda guerra mondiale, il tema della resistenza è sempre stato legato alla fatidica data del XXV aprile che segnò il traguardo della lotta partigiana.
Oggi, ad oltre settant’anni da quella data, con un mondo sostanzialmente mutato nei costumi e nelle dinamiche sociali, occorre interrogarsi su come mantenere vivo quel complesso di aspirazioni a valori puri a cui fece riferimento la guerra di liberazione. Nelle battaglie della resistenza trovarono fattori in comune anime diverse del popolo: vi prese parte chi, per porre rimedio ai mali dell’epoca, confidava nell’idea socialista e rivoluzionaria che allora si era impiantata da poco più di un ventennio in Russia, ma anche chi invece volle restare fedele agli antichi valori di matrice religiosa ed ai consolidati costumi che ne sono scaturiti nel tempo non si sottrasse alla lotta in quei frangenti. Questo “spirito unificatore” vogliamo provare a distillare, sbarazzando il campo dalla partigianeria dei partiti che nei decenni ha voluto colorare uniformemente un universo infinitamente variegato. Nel nostro ambiente, ormai così diverso da allora, abbiamo ritenuto utile intavolare una discussione che possa riportare all’attualità le istanze profonde che mossero le energie di così tanti uomini e donne disposti a mettersi a repentaglio pur di porre rimedio ad una situazione divenuta intollerabile.
Discutendo con l’amico Antonio Rossello, presidente dell’associazione XXV aprile che opera per promuovere in diversi ambiti la cultura che abbiamo prima ricordato, è nata l’idea di proporre un tema che riguardasse la resistenza come punto di partenza per giungere a comprendere le ragioni di quanti, in quelle contingenze, hanno saputo portare i propri ideali di umanità sino al limite del sacrificio di sé. Per dare il via alla discussione si è pensato di riferirsi a due eminenti personaggi, entrambi, in panorami diversi, conculcati dal tallone del totalitarismo: Dietrich Bonhoeffer e Pavel Aleksandrovic Florenskij. Di entrambi gli scritti dalla prigionia pubblicati postumi: “Resistenza e Resa” per il tedesco e “Non Dimenticatemi” per il russo costituiranno l’incipit per la libera discussione che ci auguriamo possa raccogliere molti utili contributi per produrre ulteriori iniziative. Con tutti i singoli che parteciperanno, rifletteremo su questioni così importanti e certamente degne di attenzione e di sviluppo quanto e più dei tanti temi economici che continuamente vengono proposti. Questi, a grandi linee, gli intenti per cui varrebbe forse la pena di lanciare una proposta aggregativa anche se solo virtuale. Voglio citare in conclusione la frase che mi è stata rivolta di recente da un giovane professore residente all’estero che mi sento di sottoscrivere: “Il mondo di oggi ha bisogno di umanisti, non solo di scienziati e tecnici”.
Valerio Marino
Nato nel 1962, coniugato e padre di sei figli, con un passato da operaio, attualmente presta servizio presso il liceo Della Rovere di Savona come collaboratore scolastico. Cattolico, dedito alla famiglia, è un autodidatta che coltiva per diletto vari interessi e relazioni anche nell'ambito culturale.
Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.
Angela Ciconte
Nata a Torino, sposata e madre di una figlia. È Coadiutore Amminstrativo in ASL dove si occupa di Direzione Sanitaria, Contabilità, Ufficio Tecnico, Libera Professione, Tutele ed è attualmente impegnata presso il Servizio Veterinario.
Nel volontariato, dal 2007 al 2016 è Presidente CAV Moncalieri – Testona tramite cui ogni anno sono state assistite circa 120 mamme a rischio di aborto alle quali sono stati dati supporti: legali, psicologici, sanitari, economici, alimentari, prodotti per la prima infanzia, attrezzature per la prima infanzia, abbigliamento.
Unico CAV in Italia ad attivare corsi O.S.S. (Operatori Socio Sanitari) permettendo in questo modo, alle mamme assistite, di superare il disagio economico dando concretamente loro una formazione e un attestato che ne hanno permesso l’inserimento nel mondo del lavoro.
Fa parte di gruppi di preghiera: dal 2007 contestualmente alla nascita del CAV, in Torino e provincia sono stati fondati più gruppi per sostenere spiritualmente le attività di volontariato ed ogni attività pubblica e privata.
Associazione Più Italia
Antonio Rossello
Savona, 1964. Ingegnere meccanico, tenente in congedo, cavaliere OMRI. Lavora in una grande azienda genovese. Impegnato nell’associazionismo (Presidente del Centro XXV Aprile e segretario dell’Associazione nazionale Carabinieri di Varazze) e in iniziative di natura civile, culturale e artistica. Scrive su periodici cartacei e online. Autore di diversi romanzi antologici. Classificato in premi letterari. La sua pagina: http://www.braviautori.com/vetrine/antoniorossello/
Gianluca Valpondi
Classe 1979, da anni è appassionato, nei suoi studi e nelle sue attività, al campo variegato del possibile integrarsi dei vari approcci bio-psico-socio-pedagogici alla persona umana e alla sua educazione, con gli annessi aspetti di ordine etico e politico, filosofico e spirituale, nel vasto ambito delle scienze umane non chiuse alla metafisica. Ha pubblicato con le edizioni Segno Libera Teocrazia. Verso la civiltà dell’amore (2013) con la prefazione di Magdi Cristiano Allam, Homo capax Dei. Libero Stato in libera Chiesa (2014) e Res publica catholica. Gesù bussa perché vuole uscire (2017) con la prefazione di Mario Adinolfi. Collabora con LaCroceQuotidiano.it ed è membro della Legio Mariae di Acqui-Genova.
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Dic 13
di Gianluca Valpondi
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Una volta il card. Ruini disse che Maurice Blondel era il filosofo del Vaticano II…Beh, penso, sollecitato anche in tal senso da Bartolomeo Sorge, che Aldo Moro sia il politico del Vaticano II. Se non fosse stato ucciso dall’invidia dei mediocri, Moro con tutta probabilità sarebbe diventato il nostro migliore Presidente della Repubblica, e l’Italia ora avrebbe un altro volto, e forse gli italiani sarebbero meno schifati di una politica che, tra l’altro, ancora non dà risposte convincenti alle domande sulla morte di un autentico amico del popolo. L’umanesimo “moroteo” altro non era che l’umanesimo cristiano, anche se molti non lo capiscono. Ma diamo volentieri, e a lungo, la parola a questo umile e coraggioso maestro di umanità, che va disseppellito.
“Da più parti si annunzia un nuovo individualismo insorgere nell’Italia e nel mondo come reazione alla lunga oppressione collettivista. L’uomo nella sua individualità, nei valori, che son propri della sua persona singolare, torna a essere protagonista della Storia, la quale assume, per la nuova operante intuizione degli ideali della vita, un carattere più minuto, più semplice, più interiore, più umano. Ben venga dunque questa riforma delle idee e dei costumi che attendevamo da anni di appassionata dolorosa reazione e che attendiamo ancora, imponendoci una fiduciosa speranza, poiché la vita democratica ristabilita in Italia non ci ha mostrato in oltre un anno un tale rinnovato umanesimo. E intanto giova precisare i limiti entro i quali il nuovo individualismo non solo può essere accettato, ma costituisce altissima meta della purificazione morale che, provocata immediatamente dalla crisi della guerra, è in atto in tutto il mondo. Certamente l’individualismo di cui si parla non può essere identificato con egoismo e solipsismo. Se così fosse, questa richiesta di nuovo si risolverebbe senz’altro in un ritorno all’antico e finirebbe per porre quelle premesse che hanno condotto, per una ragione naturale, dall’atomismo democratico alla dura, eccessiva, unilaterale nazione collettivista, la quale poi, incapace di stabilire un ordine sociale cosciente e libero, per aver esaurito le risorse della persona, riproduce in fondo l’egoismo che voleva combattere. Se noi, stanchi di una così dura vicenda, disgustati dei miti feroci che sacrificano l’umanità, chiediamo che l’uomo ritorni protagonista nella vita con una piena responsabilità, con effettivi poteri di controllo e di difesa, non vogliamo con ciò condannare la società come inutile e oppressiva. Noi riconosciamo invece la naturale socialità dell’uomo, la socialità come intrinseca alla sua spiritualità. Ma c’è modo e modo di intendere la società e di far partecipare la persona al consorzio umano. C’è una società che è essa stessa espressione di umanità e libertà; che completa l’uomo e non lo soffoca. C’è una società invece che esaurisce la vita del singolo, che gli richiede continuamente sacrifici per ragioni incomprensibili, che gli impedisce di proporsi altre mete che non siano quelle assegnate con barbaro arbitrio dalla collettività. Perciò, se noi vogliamo salvare l’uomo attraverso la società, richiamandolo al dovere e alla gioia dell’amore, abbiamo poi il dovere di sollevarlo dalla società, qualora questa pretenda troppo o chieda cose che non sono umane. Questo problema è gravissimo e domanda, per essere risolto, una vigile, continua attenzione pronta a cogliere i mille inganni che la vita sociale presenta. Infatti, mentre è importantissimo avere in proposito idee chiare, occorre poi che queste costituiscano un criterio sicuro e operante per vagliare la vita storica, soprattutto nei suoi aspetti politici, e giudicarla sotto questo fondamentale profilo con inesorabile severità. Così non basta che una organizzazione sociale si proclami democratica e rimetta in primo piano l’uomo e accetti di essere indirizzata e controllata da ogni persona che ne sia membro, per essere sicuri che in quella situazione l’uomo non sia compromesso. Non si tratta di parole purtroppo, ma di sostanza e la sostanza è salva indipendentemente dalle forme e dalle espressioni verbali e magari contro le une e le altre. Poiché la vita dell’uomo è naturalmente sociale per una inderogabile esigenza dello spirito, poiché, del resto, l’essere inserito in aggruppamenti umani e organismi politici è, in via di fatto, cosa inevitabile, occorre contenere l’azione di governo in quei limiti nei quali essa è veramente necessaria, controllarla in questi limiti, con una continua vigilanza, lasciare che si svolgano libere soprattutto quelle attività che hanno carattere più squisitamente personale e che esprimono le mete veramente umane della vita individuale. Intendiamo alludere alla religione, al pensiero, all’arte, alla vita morale. In questo campo l’azione di governo è, per quanto goffa e odiosa, per tanto impotente. Meglio è che si rinunci a dominare quel che non può essere per sua natura dominato. Ed è indispensabile, d’altra parte, che questa rinunzia avvenga, se l’uomo non deve essere sottoposto alla più feroce oppressione che riguarda quello che è, senza dubbio, più intimo in lui. Ciò non vuol dire che queste attività debbano svolgersi solitarie con assoluta indifferenza nei confronti degli altri uomini, che hanno pure essi quei problemi e sono in grado di intenderli e di collaborare. Ma la libertà trova essa sola il suo incontro ed è più ostacolata che agevolata da grossolani interventi dall’alto. Lasciamo dunque che l’uomo viva la sua vita nella società e per la società, ma che la viva in pieno, lui solo che non può essere sostituito in iniziative che hanno il segno inconfondibile della personalità. E lasciamo all’uomo, finalmente, il tempo, lo spazio, il modo per vivere questa vita personale che è la sola seria e ragionevole. Diamo a quest’uomo un po’ di pace e di respiro. Tutto ciò è squisitamente cristiano, anche se i cristiani, ora, non sembrano molto sensibili a queste cose. Esse sono invece nello spirito della nostra tradizione, in quella libertà spirituale che il cristianesimo ha portato e che vuol sollevare l’uomo dalla vicenda turbinosa della politica, per restituirlo alla sua dignità e intimità, al rapporto con Dio che implica adesione libera e feconda a ogni cosa bella e buona della vita.” («Pensiero e vita», 3 marzo 1945)
Quanta fiducia nell’uomo! Nell’uomo “naturalmente” cristiano. Quanta incrollabile fede nell’essere l’uomo fatto per Dio! Quanto amore per la libertà, in quanto condizione per amare la verità! La politica allora come attività per la liberazione dell’uomo, per la liberazione del bene dell’uomo, la politica come agatofilia (cfr. Giovanni Turco, La politica come agatofilia), amore per il bene, per il bene che si diffonde da solo, è diffusivo di sé, non ha bisogno di costrizioni, se non quelle che gli permettono di liberamente e creativamente espandersi, nel singolo e nella società. La politica che vuole il bene integrale della persona umana sarà promotrice di quella libertà nel bene la quale a sua volta non potrà che generare uomini atti ad una responsabile partecipazione alla vita politica stessa. Quando invece la politica pretende di obbligare l’uomo a venir meno ai suoi doveri morali attraverso leggi che feriscono una coscienza rettamente formata, diventa totalitarismo, più o meno dissimulato. E quando l’opera di propaganda demagogica che prepara e accompagna l’emanazione di leggi disumane arriva al punto di manipolare in profondità le coscienze della massa, occorre scuoterci dal sonno stanco delle nostre anime (cfr. Medjugorje) e ricordarci che “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” (Dante). Apriamo bene gli occhi del cuore per scorgere in noi e ovunque e in chiunque e ad ogni costo far maturare e fruttificare con l’amore i semi del Verbo, che ha assunto la nostra natura e attende le nostre persone.
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