I temi ispiratori della resistenza al nazifascismo, quali il desiderio di libertà e di autodeterminazione, l’aspirazione al pluralismo e alla convivenza pacifica, la salvaguardia del rispetto della persona umana al di là delle petizioni di principio dettate dalla propaganda, possono essere visti come i prodromi di un sano cosmopolitismo culturale che però a tutt’oggi sembra lungi dall’essere realizzato in quella che comunemente viene detta globalizzazione. L’ attuale situazione di crisi del vecchio mondo europeo, d’altro canto, porta alla ribalta il tema delle identità, mentre sulla spinta di fenomeni epocali come quello delle migrazioni, per citare il più discusso, vanno generandosi derive ideologiche che potrebbero rivelarsi antitetiche all’insieme dei valori animatori della resistenza. Sino ad ora nell’immaginario di chi è nato dopo la seconda guerra mondiale, il tema della resistenza è sempre stato legato alla fatidica data del XXV aprile che segnò il traguardo della lotta partigiana.
Oggi, ad oltre settant’anni da quella data, con un mondo sostanzialmente mutato nei costumi e nelle dinamiche sociali, occorre interrogarsi su come mantenere vivo quel complesso di aspirazioni a valori puri a cui fece riferimento la guerra di liberazione. Nelle battaglie della resistenza trovarono fattori in comune anime diverse del popolo: vi prese parte chi, per porre rimedio ai mali dell’epoca, confidava nell’idea socialista e rivoluzionaria che allora si era impiantata da poco più di un ventennio in Russia, ma anche chi invece volle restare fedele agli antichi valori di matrice religiosa ed ai consolidati costumi che ne sono scaturiti nel tempo non si sottrasse alla lotta in quei frangenti. Questo “spirito unificatore” vogliamo provare a distillare, sbarazzando il campo dalla partigianeria dei partiti che nei decenni ha voluto colorare uniformemente un universo infinitamente variegato. Nel nostro ambiente, ormai così diverso da allora, abbiamo ritenuto utile intavolare una discussione che possa riportare all’attualità le istanze profonde che mossero le energie di così tanti uomini e donne disposti a mettersi a repentaglio pur di porre rimedio ad una situazione divenuta intollerabile.
Discutendo con l’amico Antonio Rossello, presidente dell’associazione XXV aprile che opera per promuovere in diversi ambiti la cultura che abbiamo prima ricordato, è nata l’idea di proporre un tema che riguardasse la resistenza come punto di partenza per giungere a comprendere le ragioni di quanti, in quelle contingenze, hanno saputo portare i propri ideali di umanità sino al limite del sacrificio di sé. Per dare il via alla discussione si è pensato di riferirsi a due eminenti personaggi, entrambi, in panorami diversi, conculcati dal tallone del totalitarismo: Dietrich Bonhoeffer e Pavel Aleksandrovic Florenskij. Di entrambi gli scritti dalla prigionia pubblicati postumi: “Resistenza e Resa” per il tedesco e “Non Dimenticatemi” per il russo costituiranno l’incipit per la libera discussione che ci auguriamo possa raccogliere molti utili contributi per produrre ulteriori iniziative. Con tutti i singoli che parteciperanno, rifletteremo su questioni così importanti e certamente degne di attenzione e di sviluppo quanto e più dei tanti temi economici che continuamente vengono proposti. Questi, a grandi linee, gli intenti per cui varrebbe forse la pena di lanciare una proposta aggregativa anche se solo virtuale. Voglio citare in conclusione la frase che mi è stata rivolta di recente da un giovane professore residente all’estero che mi sento di sottoscrivere: “Il mondo di oggi ha bisogno di umanisti, non solo di scienziati e tecnici”.
Valerio Marino
Nato nel 1962, coniugato e padre di sei figli, con un passato da operaio, attualmente presta servizio presso il liceo Della Rovere di Savona come collaboratore scolastico. Cattolico, dedito alla famiglia, è un autodidatta che coltiva per diletto vari interessi e relazioni anche nell'ambito culturale.
Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.
Angela Ciconte
Nata a Torino, sposata e madre di una figlia. È Coadiutore Amminstrativo in ASL dove si occupa di Direzione Sanitaria, Contabilità, Ufficio Tecnico, Libera Professione, Tutele ed è attualmente impegnata presso il Servizio Veterinario.
Nel volontariato, dal 2007 al 2016 è Presidente CAV Moncalieri – Testona tramite cui ogni anno sono state assistite circa 120 mamme a rischio di aborto alle quali sono stati dati supporti: legali, psicologici, sanitari, economici, alimentari, prodotti per la prima infanzia, attrezzature per la prima infanzia, abbigliamento.
Unico CAV in Italia ad attivare corsi O.S.S. (Operatori Socio Sanitari) permettendo in questo modo, alle mamme assistite, di superare il disagio economico dando concretamente loro una formazione e un attestato che ne hanno permesso l’inserimento nel mondo del lavoro.
Fa parte di gruppi di preghiera: dal 2007 contestualmente alla nascita del CAV, in Torino e provincia sono stati fondati più gruppi per sostenere spiritualmente le attività di volontariato ed ogni attività pubblica e privata.
Associazione Più Italia
Antonio Rossello
Savona, 1964. Ingegnere meccanico, tenente in congedo, cavaliere OMRI. Lavora in una grande azienda genovese. Impegnato nell’associazionismo (Presidente del Centro XXV Aprile e segretario dell’Associazione nazionale Carabinieri di Varazze) e in iniziative di natura civile, culturale e artistica. Scrive su periodici cartacei e online. Autore di diversi romanzi antologici. Classificato in premi letterari. La sua pagina: http://www.braviautori.com/vetrine/antoniorossello/
Gianluca Valpondi
Classe 1979, da anni è appassionato, nei suoi studi e nelle sue attività, al campo variegato del possibile integrarsi dei vari approcci bio-psico-socio-pedagogici alla persona umana e alla sua educazione, con gli annessi aspetti di ordine etico e politico, filosofico e spirituale, nel vasto ambito delle scienze umane non chiuse alla metafisica. Ha pubblicato con le edizioni Segno Libera Teocrazia. Verso la civiltà dell’amore (2013) con la prefazione di Magdi Cristiano Allam, Homo capax Dei. Libero Stato in libera Chiesa (2014) e Res publica catholica. Gesù bussa perché vuole uscire (2017) con la prefazione di Mario Adinolfi. Collabora con LaCroceQuotidiano.it ed è membro della Legio Mariae di Acqui-Genova.
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Dic 13
di Gianluca Valpondi
Una volta il card. Ruini disse che Maurice Blondel era il filosofo del Vaticano II…Beh, penso, sollecitato anche in tal senso da Bartolomeo Sorge, che Aldo Moro sia il politico del Vaticano II. Se non fosse stato ucciso dall’invidia dei mediocri, Moro con tutta probabilità sarebbe diventato il nostro migliore Presidente della Repubblica, e l’Italia ora avrebbe un altro volto, e forse gli italiani sarebbero meno schifati di una politica che, tra l’altro, ancora non dà risposte convincenti alle domande sulla morte di un autentico amico del popolo. L’umanesimo “moroteo” altro non era che l’umanesimo cristiano, anche se molti non lo capiscono. Ma diamo volentieri, e a lungo, la parola a questo umile e coraggioso maestro di umanità, che va disseppellito.
Dic 8
di Valerio Marino
Riprendendo il filo del discorso a partire dalle prime considerazioni fatte sul “tessuto umano”, si può dire che l’uomo con le sue facoltà di pensiero esprima, nell’evidenza oggettiva della natura, la necessità di un al di là significante, di un principio unificatore e generatore che, ovviamente, essendo causa non è compreso da quanto risulta come suo effetto. L’esistenza stessa dell’uomo perciò è la presenza, attraverso l’effetto, della necessità della causa; è come se attraverso la vita della natura, la causa della natura ritrovasse, anzi, ricercasse sé stessa tramite una libertà che non è sé medesima. Questa realtà viva, che a volerla spiegare conduce ad un bisticcio con le parole, è l’anima del processo che ha prodotto la cultura dei popoli: attraverso la percezione del Sacro, in ottemperanza all’imperativo urgente al proprio cuore, l’umanità ha prodotto credenze, filosofie, sistemi di pensiero che hanno la funzione di religione nel senso più stretto del termine; modi per legare, unire i due aspetti della realtà che risultano incontestabilmente dall’esperienza della vita umana. Il soggettivo e l’oggettivo, il dentro ed il fuori, l’io e il mondo, me e gli altri, l’uomo e Dio, sono le molteplici espressioni della duplicità evidente che nell’essere umano aspira ad essere unificata. Il filo del discorso intrapreso ci ha condotti, considerando la nostra propria cultura, a riprenderne l’evento fondante che è stato il motore attorno al quale si è sviluppata, ed ancora si sta sviluppando, seppur con espressioni controverse, la nostra civiltà cristiana; oggi potremmo quasi dire post cristiana, facendo riferimento ai modelli del passato. Proprio ritornando a quest’evento voglio ricordare il Natale che è, nello svolgimento del dramma, il momento preciso in cui l’umanità diviene capace di Dio misteriosamente. Sin dalle profondità del tempo l’umanità ha formato sé stessa spinta dal “quid” presente al proprio cuore come esigenza di Assoluto ed al momento del “fiat” esso ha preso la forma in cui ciascun uomo che appare sulla scena temporale può ritrovarsi nell’Assoluto stesso; è lì che la diaspora dell’esodo terrestre ha trovato, in Gesù Cristo, la propria entelechia. La vergine madre rappresenta nella realtà vivente come avviene quest’unificazione, come l’umanità che ha urgenza di Dio e lo concepisce oltre se stessa possa trovarlo immediatamente, senza colpo ferire. Questo Dio che deve essere il Cristo, pena l’annientamento dell’umanità stessa di fronte al Sacro Terribile, non è pienamente accessibile all’umano senza Gesù che non nasce senza Maria. Così, semplicemente, la scala è completata; dal più alto, inviolabile, dei cieli, alla grotta di Betlemme: l’umanità trova in Maria la soluzione al problema postasi in migliaia, forse in milioni d’anni, attraverso miliardi d’individui.
Ott 17
di Gianluca Valpondi
Non la pensiamo uguale, grazie a Dio; altrimenti come faremmo a litigare? Dovremmo fingere. Sì, perché ho voluto prendere sul serio l’invito del Papa nella terra di don Pino Puglisi, l’invito a litigare coi propri nonni. I miei nonni sono già di Là, perciò sono andato da uno che avendo quasi novant’anni e avendone io quasi quaranta mio nonno lo potrebbe anche essere. Padre Bartolomeo Sorge mi conosce come collaboratore de La Croce e anche come sostenitore del Popolo della Famiglia, dunque inevitabilmente il discorso è andato a finire lì. Senza le necessarie mediazioni, ci ammonisce duramente Sorge, si rimane fuori dalla storia, politicamente forse ad un ininfluente 2%, si fa, in pratica, la riserva dei cattolici. E si fa anche il suicidio della società, se la società mette all’angolo la famiglia. È, in effetti, pericoloso separare Dio dalle mediazioni di Dio, si finisce nell’integrismo. Anche perché Dio si è fatto mediazione, anzi Mediatore. Eppure potrebbe essere dirimente e liberante il libero intervento dell’unica mediatrice all’unico mediatore: “nel tempo dei dieci segreti il potere di satana verrà infranto”, così la Gospa, ma non è (ancora) approvata. Lo è invece un dottore di recente nomina, Ildegarda di Bingen, che poi citerò. Intanto teniamo presente che ogni grazia, lo si voglia o meno, lo si sappia o meno, passa dalla beata vergine Maria, perché Dio l’ha voluta necessaria alla nostra salvezza e lei è madre di tutti, credenti non credenti diversamente credenti. Dicevamo, le necessarie mediazioni: Sorge mi ha parlato di politici cattolici che erano i migliori nelle loro competenze laiche, che andavano magari pure a Messa tutti i giorni, si confessavano, facevano ritiri e meditazioni regolarmente...ma, lo stesso, la cristianità, l’ideologia cattolica, tutti i partiti ideologici sono finiti. Servono nuove mediazioni per tempi nuovi, nuove maestrie laiche evangelicamente ispirate; il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo comporta vasta apertura di mente e di cuore, comporta, ad esempio, pensare al metarealismo (cf. Jean Guitton, Dio e la scienza. Verso il metarealismo) e al metaumanesimo (cf. Michele Campanozzi, Oltre l’angolo: il metaumanesimo), comporta, come ci chiede il Santo Padre, il rimanere aperti alle sorprese di Dio. Lasciamoci sorprendere, non mettiamo limiti alla Provvidenza, siamo pronti ad attraversare sentieri nuovi, sappiamo di non sapere! Intanto, per quanto sta a noi, pensiamo ad avviare processi più che a conquistare spazi (cf. Evangelii gaudium). L’inaspettato ci aspetta, sempre, dietro l’angolo.
Ott 16
di Valerio Marino
Osservando le formidabili organizzazioni “comuniste” delle api o delle termiti, si potrebbe dire che indicare l’essere umano come esempio di animale massimamente sociabile non sia corretto; ma considerando più attentamente si può capire che la differenza sostanziale tra l’aggregarsi di questi affascinanti piccoli esseri e quello umano è data dalla percezione del confine tra individuo e specie. Il perfetto dispositivo della comunità degli insetti risulta da una spersonalizzazione degl’individui impensabile nel contesto della società umana; al contrario nell’uomo la coscienza individuale si espande, esulando dall’aspetto funzionale all’organizzazione sociale, per assumere un connotato di assoluto, dal quale deriva un’infinità di effetti, determinanti l’orizzonte in cui si inquadra un tratto essenziale del vivere umano: la ragione morale. L’individualità umana tende quindi ad assumere un valore assoluto; il valore determinante che a seconda della direzione che questa funzione assumerà sul piano assiologico, la farà sprofondare nell’egoismo o manifestare la qualità umana che le è propria, come un tutto in sé stessa. In sostanza il sacrificio umano, inserito in questo sistema di coordinate, rivela un valore che non è semplicemente relativo all’insieme delle contingenze immediate ma s’innalza verso l’infinito; la prospettiva della sociabilità dell’essere umano è proiettata verso un “Tutto in tutti” che trascende la dimensione “dell’Uno nel molteplice” espressa nell’universo dell’apiario. L’espressione di questa peculiarità “cristica” che riconosciamo all’essere umano, ci rimanda a quanto è già stato detto in altri articoli; l’uomo è sorretto dalla propria cultura, parola con la quale intendo indicare l’insieme del patrimonio dell’umanità che ciascun individuo può ereditare, a conferire nel suo limitato orizzonte gli strumenti per riconoscere la prospettiva d’infinito a lui spettante in quanto uomo.
Ott 13
di Gianluca Valpondi
All’inizio non capisco,
Ott 9
di Valerio Marino
Lo zigote appena comincia ad esistere manifesta immediatamente la volontà di vivere, nell’ambiente idoneo traduce questa volontà nel moltiplicarsi delle cellule che lo compongono, progressivamente realizzando tutto quel complesso necessario alla vita autonoma che è un corpo umano. Una volta venuto alla luce, ormai bimbo, la medesima volontà si espliciterà nella spinta alla scoperta di sé e del mondo; sarà la risultante di questi due termini a dar vita all’universo interiore, un infinito speculare a quello “esterno”, fatto degli “abiti” che la facoltà umana intesse e custodisce attraverso la propria rete di organi stimolati dall’immensa varietà che caratterizza il creato.
Ott 6
di Aldo Carpineti
Come da intese con Reteluna Savona riportiamo qui nostro articolo
Ott 5
di Antonio Rossello
Se gli spunti separatamente offerti da persone capaci di analisi profonde si disperdono in rivoli distinti, si perde l'occasione di ottenere partecipazioni e confronti più ampi. Metaforicamente, tanti piccoli *Montaigne*, ognuno rinchiuso a pensare nella propria torre eburnea.
Ott 4
di Gianluca Valpondi
La parola “laico” deriva originariamente, passando per il latino tardo laicum, dal greco laikòs (“del popolo”), derivato di laòs (“popolo”), in complementarietà (attenzione: non in contrapposizione) con il termine “clero” (kleròs, “sorte”, “parte di eredità”, “parte eletta di un popolo”). Se dunque laico è chi non appartiene al clero, è però anche vero che laico è chi appartiene ad un popolo e precisamente a quel popolo la cui “parte eletta” è costituita dai sacerdoti-pastori che formano la gerarchia ecclesiastica. La contrapposizione tra laici e clero non sussiste perché anzi gli uni presuppongono l’altro e viceversa: non c’è popolo senza pastori, né pastori senza popolo; un gregge disperso non è più un gregge, e un pastore senza gregge è tutt’al più un ex-pastore! Diverso è il discorso se si parla di clericalismo e di laicismo, che altro non sono che l’orrida caricatura del clero e del laicato, degenerati nella loro stessa essenza dal prevalere della volontà di dominio e della sete di potere sul desiderio invece di servire, di mettersi al servizio di Dio e del prossimo. Da questa orrida deformazione nasce quel gioco di fraintendimenti più o meno voluti che vediamo ogni giorno dilacerare la nostra società. E così il laico, ferito, a volte, dal prete clericalista che si arroga il diritto di spadroneggiare sulle anime, si corrompe a sua volta e diventa laicista e si fa nemico della Chiesa; e il sacerdote, irritato magari dall’arrogante e dissacrante affermazione di autonomia del laicista, si fa trascinare nell’errore e diventa sostenitore del clericalismo. Certo, la cosa non è così semplice, anche perché ben difficilmente si vorrà ammettere di aver abbracciato il laicismo, preferendo piuttosto fare professione di genuina laicità, e tanto meno si potrà trovare un prete che faccia aperta professione di clericalismo; senza contare che dosi più o meno massicce di clericalismo o di laicismo o di entrambi gli “ismi” possono essere presenti in tutti, miscelate nei modi più variegati. Inoltre, ferventi clericalisti potrebbero trovarsi proprio tra i non appartenenti alla gerarchia ecclesiastica e viceversa scaltri laicisti potrebbero annidarsi tra le fila degli ecclesiastici. Nella Chiesa Cattolica però una certezza rimane, un baluardo a difesa della verità, e cioè la parola del Papa quando parla ex cathedra in materia di fede e di morale, perché è impossibile che il Pontefice, quando parla ex cathedra, contraddica la ragione naturale che tutti gli uomini posseggono (come dimostrano quantomeno 2000 anni di Cristianesimo, si potrà certo parlare di affermazioni dogmatiche sovrarazionali, ma mai, ripeto, mai e poi mai irrazionali, come invece si può constatare più o meno sovente per tutte le altre religioni o sette provviste di una sorta di clero; non c'è dubbio poi che la ragione umana fissando l'attenzione su tali affermazioni di carattere sovrarazionale risulti potenziata, come è accaduto per esempio per il concetto metafisico di “persona”, entrato nel linguaggio filosofico in seguito all'uso che ne fece il Cristianesimo per definire i suoi due dogmi fondamentali: l'Incarnazione – Gesù Cristo, una persona e due nature – e la Trinità – tre persone e una natura), e dunque chi si oppone a tale parola non può dirsi laico, perché disconosce la voce del Pastore universale (catholicu(m) dal greco katholicòs, “universale” appunto) e così facendo si autoesclude dal popolo universale, da quel laòs universale che lo farebbe sussistere come laikòs universale, cioè come laico cattolico, come laico senza frontiere, ossia, semplicemente, come laico.
Set 30
di Valerio Marino
Stavamo appena scaldando i motori e l’amico Gianluca, mi permetto di chiamarlo col nome di battesimo, ci sorpassa già lanciato in quarta.
Set 29
di Gianluca Valpondi
“(…) si può sostenere che si corre il rischio di idolatrare persino la seconda persona della Trinità se l’attenzione verso il Figlio rimane statica e disinteressata alla Sua, e quindi nostra, relazione col Padre e con lo Spirito santo. In questa prospettiva è possibile una complessiva rimodulazione del pensiero teologico che fa della seconda persona della Trinità non tanto il centro verso il quale ogni realtà converge ma il legame che tutto connette. Qui sta il fondamento di un passaggio da un paradigma cristocentrico a una impostazione cristomorfica (…) (Dario Balocco, Dal cristocentrismo al cristomorfismo. In dialogo con David Tracy, ed. Glossa, 2012, pp. 160-161).
Set 28
di Valerio Marino
Qual è il fattore comune tra i personaggi che abbiamo citato per prendere spunto ad avviare questo tipo di riflessione? Qual è con tutti coloro i quali arrivarono comunque a spingersi sino all’estremo nella resistenza a ciò che essi avevano con certezza riconosciuto come male? Tra i nostri due prescelti, chiamiamoli così, potremmo dire la fede, ma di certo questo non ci chiarisce le idee più di tanto; fu in nome della fede infatti che nei secoli precedenti si formarono le varie confessioni, fratturando crudelmente la religione che per definizione dovrebbe portare all’unificazione. I nostri due, infatti, furono cristiani ma ortodosso l’uno e luterano l’altro. Allora per “distillare” questo fattore comune occorrerà scrutare più a fondo? Dove però se anche noi abitualmente ascriviamo al termine fede le motivazioni più alte delle nostre scelte? Non è forse a motivo di una fede che di volta in volta si sono visti mettere in piedi regimi d’ogni tipo? Quei valori puri ai quali si è fatto riferimento nell’introduzione, andranno quindi innanzitutto ascritti all’uomo nella sua integralità; cioè a tutto il complesso che costituisce gli esseri umani, le relazioni con l’ambiente e tra essi, la loro percezione della vita e del tempo, tutti quegli elementi che vanno a costituire le idee di esistenza, popolo, storia, poiché è l’uomo con il suo intelletto il soggetto che si interroga sui temi che abbiamo indicato e, nel suo essere, ne è il compendio.
Da cosa sono informati pochi chilogrammi di materia ad organizzarsi in modo da esprimere tutto questo? Dove si trovano i confini oltre i quali ciò che abitualmente distinguo da me stesso è alieno a me stesso, vale a dire non mi riguarda affatto? Se per tutti è l’organo del nostro corpo, la pelle, a costituire il primo e più evidente confine a noi stessi, è pur vero che, riflettendo, capisco chiaramente che il complesso dei legami che costituiscono l’ordito della vita di ciascuno, sussiste soltanto se unito ad un “supporto” che sconfina rispetto a me stesso in quanto individuo.
Per cercare di chiarire ed indirizzare meglio queste considerazioni desunte dai dati fondamentali riguardanti l’esistenza di ogni uomo, dirò che il supporto, la trama a cui faccio riferimento è ciò che genericamente riceve il nome di Sacro, ed il Sacro consiste per definizione in ciò che è segreto, separato, che si percepisce talora fortemente ma mai si afferra, che non è a disposizione dell’umano ma è misteriosamente “agibile” attraverso i riti, che si può osare ignorarlo ma forse sconfinando nella pazzia; è comunque qualcosa legato ad una trascendenza che incute timore e terrore, ad una dimensione non umana, sovrumana.
Possiamo collegare questo tema a quanto detto prima, facendo riferimento all’aspirazione dell’uomo al bene, vale a dire a ciò che è appagante non soltanto in termini sensuali ma esistenziali. La vita, il benessere, la famiglia con i suoi sviluppi nella reciprocità e la posterità generata nel tempo, l’amicizia che apre alla comunione assolutamente disinteressata, sono i fili che disponendosi tra le ineffabili trame del Sacro, producono la tela su cui appaiono le forme ed i colori dell’umanità vera.
Per terminare questa digressione occorre dire ancora una cosa che riguarda le forme del rapporto con il Sacro da parte dell’uomo, vale a dire le religioni. Tracciando la linea di una considerazione che sembrerà semplicistica e magari ingenua, voglio trattare le religioni sotto l’aspetto della normalizzazione del rapporto con il Sacro; esso si presenta alla mente umana con le caratteristiche che già abbiamo dette e non può perciò non essere regolato e dotato delle salvaguardie necessarie e questo avviene naturalmente dal momento che, siccome la sua presenza è evidente all’uomo, egli comprende di poter trovare là il significato della propria finitezza per scongiurare il più terribile avversario di sempre: la morte.
Continuando a rifarmi al simbolismo per esprimere al meglio quanto voglio comunicare e per avviarci a trarre qualche conclusione, proverò a dare una risposta alla domanda posta all’inizio di questo scritto. La visione è il fattore in comune. Vedere che il dipanarsi dei fili dell’ordito che ad ogni istante dell’esistenza produciamo con le nostre azioni, parole, pensieri, non trova l’ostacolo di un fato cieco e capriccioso che tende altri fili spesso d’intralcio alla nostra aspirazione al bene ma al contrario comprendere come il nostro tessuto aderisca alle trame dell’assoluto così da poter essere, senza precipitare nel nulla della morte.
Sta in questa visione oltre il limite, possibile all’umano, la grandezza che vediamo espressa in quelli che spesso si definiscono eroi.
Torniamo infine ai nostri prescelti, come li abbiamo chiamati all’inizio: Bonhoeffer s’interrogava, durante la prigionia, su come la fede cristiana potesse essere formulata con modalità non religiose; Florenskij lavorò sino alla fine, da scienziato qual’era, ritrovando continuamente la propria fede in tutto ciò che egli osservava e studiava, rimanendo aderente ad una tradizione antica che egli vedeva sempre più viva di fronte alle proprie scoperte. Di entrambi la profonda umanità risalta nei loro scritti dal carcere che offrono le immagini di “eroi normali”, così grandi nel pensiero e negli ideali concretamente vissuti, eppure tanto attenti alle cose minute della vita di chi gli era vicino nonostante situazioni così drammatiche.
Ho voluto tratteggiare una linea di pensiero che, lungi dall’essere rivoluzionaria, passi attraverso alle differenze, anche grandi, per cercare di vedere, alcuni diranno sognare, una possibilità data a tutti gli uomini di scoprire la propria vocazione all’assoluto. A distanza d’anni e con i continui rapidi cambiamenti che il nostro mondo sta attraversando, credo che la capacità visionaria dei nostri personaggi di riferimento possa dirci molto ancora per aiutarci a tessere un intreccio degno dell’umanità.
Set 27
di Gianluca Valpondi
Dare la cittadinanza a chi non è integrato significa evidentemente dis-integrare la comunità accogliente. E su questo non ci piove. Ma ognuno di noi deve riconoscere di essere quantomeno cittadino italiano, cittadino europeo e cittadino del mondo. Mia madre, se glielo chiedo - forse un po' ironica, forse un po' superficiale - mi dice che è cittadina del mondo. Sarà che è cattolica, e cattolico (dal greco katholikòs) significa, letteralmente, “universale”. Per esempio, in Italia il cucciolo d’uomo nella pancia di sua madre ha la cittadinanza italiana? Se non è iscritto all’anagrafe no. Altrimenti non potrebbe essere ucciso impunemente. Come ha detto papa Francesco riferendosi all’aborto, oggi si compiono sacrifici umani tutelati dalle leggi degli Stati, e in effetti Emma Bonino che con la pompa da bicicletta strappa via il feto dall’utero dà l’idea di un rituale satanico, almeno implicito, e di Emma Bonino come sacerdotessa di Satana, almeno implicita. Oggi questi “rituali satanici” forse sono più edulcorati, ma tali restano. E’ invece più facile pensare che il bambino non ancora nato abbia i requisiti per essere cittadino del mondo, e dunque anche europeo ed italiano. L’essere “cittadino del mondo” suggerisce l’idea di fratellanza universale dove l’unico requisito d’appartenenza è l’essere umani. E, anche se non completamente formato come uomo, l’embrione è vita, ed è vita umana, dunque l’embrione è un essere umano, è un ente, ed è un ente di natura umana. Non ci piove. Anche perché l’atto viene prima della potenza e la gallina prima dell’uovo. Similmente dicasi per certe categorie (brutta parola!) di immigrati, che risultano essere non integrati, non avendo un minimo di requisiti di “italianità”, ma avendo il requisito di essere umani. I potentati transnazionali privi di alcuna legittimazione democratica se ne fottono altamente della cittadinanza italiana e forse anche di quella europea: loro giocano in grande verso la res publica massonica. Contro queste forze nemiche dell’umanità occorre opporre un nuovo ordine mondiale, ove lo ius personae, lo ius Europae e le cittadinanze dei singoli popoli e nazioni siano armoniosamente al servizio del bene comune globalizzato della persona e di tutte le persone, dei popoli e di tutto il multicolore popolo di Dio. Poi certo tutte le persone di buona volontà, anche se non lo sanno, sono cittadini del Cielo, della Nuova Gerusalemme. Siamo tutti esuli. Esuli dalla Patria Celeste, éxsules filii Evae. E, prima della confusione di Babilonia, gli esseri umani parlavano la stessa lingua; poi è venuto Qualcuno ad insegnarci definitivamente il linguaggio universale dell’amore, e allora non c’è più né giudeo né greco. Mio fratello è chi fa la volontà del Padre nostro che è nei Cieli e io sono concittadino dei santi.
Set 26
di Antonio Rossello
Nel gradevole scenario del porticciolo di Varazze, la sera del 26 settembre si è svolta la serata di beneficenza dell'Associazione Down Savona Onlus.
Set 26
di Antonio Rossello
La mostra ricostruisce le vicende dei 432 deportati del - trasporto 81-, partito da Bolzano il 5 settembre 1944 e arrivato al lager di Flossenbürg in Alta Baviera. Il trasporto 81 è uno spaccato molto importante e significativo dell’opposizione al nazi-fascismo. Il progetto è innovativo in quanto intende ricostruire la biografia dei deportati attraverso una pluralità di fonti (comprese quelle prodotte dai deportati stessi) non trascurando, quindi, il ruolo culturale e letterario della memorialistica, vista come contributo storico alla conoscenza del vissuto nel lager.
Set 26
di Antonio Rossello
Il CENTRO XXV APRILE (ex CENTRO SAVONA, LIBERA):